Questo articolo è apparso originariamente su Quadricottero News il 20 febbraio 2017.
Un altro anno è passato e proviamo a fare una fotografia dello stato di fatto del comparto aeromobili a pilotaggio remoto sotto i 25 kg in Italia.
Andiamo per punti.
Conoscenza delle regole e abusivismo
Nella sua azione, ENAC è partita dal presupposto che il nostro settore fosse sostanzialmente assimilabile a quello dell'aviazione civile, dove tutti gli attori hanno competenze aeronautiche approfondite, anche se in ambiti diversi.
Nell'aviazione civile, gli utenti che usufruiscono dei servizi offerti (ad esempio i viaggiatori) non sono tenuti a conoscere la normativa aeronautica ma, una volta bordo degli aeromobili, devono semplicemente osservare poche e chiare regole di sicurezze. Inoltre, quando una Compagnia aerea (un Operatore) acquista da un costruttore un aeromobile (come un Airbus A320) sa bene quello che fa ed è pienamente consapevole di tutti i risvolti normativi.
Diversamente, i nostri “aeromobili” si possono acquistare anche al supermercato, possono entrarne in possesso non solo i professionisti, ma soprattutto e sempre più spesso, famiglie, ragazzi e bambini che di regolamenti aeronautici non sanno nulla.
Non solo, anche i potenziali committenti non studiano (e non sono tenuti a farlo) la normativa aeronautica. Ne consegue che chi redige ed emana i regolamenti deve avere la capacità di rivolgersi non solo agli addetti ai lavori ma, vista la distribuzione di massa di questa tecnologia, deve anche farne comunicazione diffusa, da tutti comprensibile.
“Bisogna avere la capacità di spiegare
in modo semplice cose complicate”
La metodologia adottata da ENAC di comunicare solo tramite regolamenti e LG tecniche per i soli addetti ai lavori, nel nostro caso purtroppo non è sufficiente.
Visto che questi "aeromobili" sono venduti ovunque, ENAC deve fare comunicazione di massa, deve assumersi la responsabilità di informare le masse sui loro limiti d'uso, attraverso infografiche, spot di comunicazione istituzionali, informative nei punti vendita e tutto quanto necessario ad informare gli utilizzatori degli APR. Senza delegare questo compito alle associazioni.
Per lo stesso motivo, gli organi di pubblica sicurezza deputati al controllo devono essere adeguatamente formati e informati per essere in grado di intervenire, anche e soprattutto preventivamente, senza aspettare futuribili tecnologie di là da venire. Oggi è già possibile con estrema semplicità (basterebbe l’ennesima App) prevenire comportamenti illegali che possono mettere a rischio la pubblica incolumità senza rinvii di alcun genere, salvaguardando così chi si sforza di operare nella legalità. Basterebbe implementare quanto ENAC già annuncia ormai da più di un anno (Chip e sviluppi con ENAV, tavoli tecnici con la Polizia di Stato) senza poi portarlo a compimento.
Forme di semplificazione vanno anche necessariamente applicate all'individuazione di quanti hanno i requisiti necessari ad operare professionalmente. Il sito ENAC è nato per essere consultato dagli addetti ai lavori ma altri utenti, come i potenziali committenti, hanno seri problemi ad individuare le pagine web contenenti le informazioni sugli operatori autorizzati. Non solo, facendo delle ricerche in rete si viene spesso indirizzati a pagine obsolete (ma ancora attive), a documenti in PDF in alcuni casi non più aggiornati e a dei database di difficile consultazione. In sostanza una situazione caotica dove anche gli addetti ai lavori hanno difficoltà e in cui un normale utente non riesce a capire con la necessaria immediatezza se il professionista al quale vuole affidare un incarico abbia o meno i requisiti necessari.
Regolamentazione 1: modulistica e documenti attuativi
ENAC a partire dal mese di Settembre 2016, sta rilasciando autorizzazioni basate su quelli che vengono definiti "Scenari Standard". Degli "Scenari Standard” non c’è traccia nella regolamentazione vigente e tanto meno nei moduli di richiesta da inviare all'Ente. A quanti fanno domanda per operazioni critiche, l’autorizzazione ad operare in scenari standard viene concessa “ad insaputa del richiedente”. Insomma, gli Scenari Standard sono contesti operativi non esplicitamente regolamentati, applicati in via sperimentale a domande convenzionali. Il richiedente si trova di fronte ad una decisione unilaterale dell’ENAC. Paradossalmente ENAC, dopo averli applicati per mesi, chieda oggi alle associazioni di commentarne le “bozze”.
Problemi analoghi (modulistica inadeguata) riguardano i piloti. I moduli per le domande di autorizzazione richiedono ancora di specificare i nominativi dei piloti abilitati all’uso di uno specifico APR. In realtà, la regole ENAC non prevedono più questa necessità, poiché oggi i piloti sono muniti di un attestato slegato da un mezzo specifico ma valido per una determinata combinazione classe/categoria.
A gennaio 2017 ENAC ha rilasciato le attese Linee Guida sull’analisi del rischio. I parametri adottati per il calcolo si basano sulla stima delle “densità di popolazione” e della “probabilità di caduta” valori non sempre determinabili in maniera certa alla scala di azione di un APR. Secondo molti il modello adottato è superato, poco affidabile e non adatto agli APR.
“Ad oggi gli unici danneggiati dal Regolamento APR
sono coloro che lo rispettano”
Visto quanto sopra ci si chiede:
- invece di dedicare tempo a redigere gli ennesimi documenti attuativi non sarebbe il caso di dedicarlo a fare ordine nel caos?
- se i Regolamenti fossero scritti in maniera chiara e senza lasciar spazio ad una eccessiva libertà di interpretazione, non sarebbe possibile ridurre in maniera drastica la quantità di Circolari e Linee Guida?
Regolamentazione 2: gli standard per i costruttori
Parliamo ora di costruttori. In principio la parola d’ordine fu 10-6, un parametro relativo all’affidabilità dei sistemi aerei raggiunto dopo oltre un secolo di storia dell’aviazione che si è ritenuto utile applicare a un settore giovane, poco conosciuto e dai contorni non convenzionali sotto il profilo aeronautico. Poi, a valle di una serie di intersezioni con la vicenda EUROCAE (vedi sotto) il 10-6 è sparito dai documenti. Risultato? Le aziende che hanno seguito ENAC in questo percorso hanno subito ingenti perdite di investimenti e in alcuni casi sono fallite.
Al 10-6 segue l’EUROCAE ED12. ENAC sosteneva che per volare sui centri abitati fosse necessario raggiungere questo standard di affidabilità. Vista l’esperienza precedente, nessuno ha seguito l’Ente su questa strada. Il motivo è semplice: perché spendere cifre a sei zeri per la progettazione di sistemi EUROCAE (che avrebbero dovuto necessariamente essere messi in commercio a cifre da capogiro) quando nel mondo reale sulle città volano tutti, in assenza di qualunque forma di controllo?
Passiamo all’APR da 300 g (poi trasformatosi in 300 g con paraeliche), una forzatura italiana fatta mentre tutta la comunità internazionale si orientava sui 250 g. Che ne è stato di quanti hanno investito sui leggerissimi inoffensivi?
Chiudiamo con le “certificazioni di progetto”, oramai concesse anche a economici assemblati di provenienza cinese.
Ma per quale motivo un produttore di APR dovrebbe investire in Italia? Quale visione, quale coerenza di progetto è sottesa da questa successione di eventi?
Oggi il settore si trova in una situazione a dir poco surreale. ENAC redige Regolamenti ma nessuno si preoccupa di verificarne l’applicazione. Sia gli organi dello Stato deputati al controllo che la stessa ENAC non riescono ad attivarsi, anche in presenza di segnalazione diretta.
Alcuni importanti principi annunciati in passato non hanno trovato applicazione. È il caso del profilo etico degli operatori. Oggi ci si preoccupa di analizzare nel dettaglio l’idoneità medica dei “Piloti” ma si autorizzano ad operazioni critiche persone/organizzazioni che, notoriamente hanno operato fuori dalle regole. Vengono riconosciute come Centro di Addestramento organizzazioni che fino a “ieri” hanno venduto corsi e attestati senza validità ai fini del regolamento.
È questa la conoscenza che ENAC ha della situazione italiana?
“Qualsiasi Regolamento, in assenza di controllo
sulla sua applicazione, è del tutto inefficace”
Si ha la netta sensazione che ENAC stia prendendo tempo per traghettarci fino all’entrata in vigore della regolamentazione europea (EASA), ma lo sta facendo in un mare in tempesta e pieno di insidie dove pochi saranno in grado di sopravvivere. Stando così le cose, ci arriveremo con un mercato interno professionalmente distrutto.
Invece quello che ci si aspetterebbe da un sistema paese (nel nostro caso Autorità Aeronautica e operatori), è il rapido raggiungimento del miglior combinato regolamentare e attuativo, con elementi che possano essere adottati a livello europeo (e la conseguente generazione di immediati vantaggi per la comunità italiana una volta che lo scenario EASA sua divenuto realtà).
Mercato e Politica
Va detto che le condizioni attuali di questo mercato sono già poco promettenti.
Gli operatori abusivi non pongono alcun ostacolo alla fattibilità delle operazioni e praticano politiche di prezzo insostenibili per chi segue le regole. Spesso ai prezzi stracciati si associano lavori mal fatti. Il ritorno è una perdita complessiva di credibilità.
La qualità delle commesse è comunque mediamente bassa. Mancano quelle significative sotto il profilo tecnico e/o economico. I grandi committenti non si affidano agli operatori nazionali, semmai li coinvolgono in test di fattibilità per lo più gratuiti per valutare l’inserimento degli APR nel loro flusso di lavoro e acquisire le conoscenze necessarie a realizzarlo in proprio. Quando questo non è possibile, quando il gioco si fa serio, ci si rivolge agli operatori stranieri.
Altrove infatti gli APR sono già considerati uno strumento di lavoro e sono pienamente inseriti in alcuni processi produttivi (si pensi alle ispezioni industriali). In quello stesso altrove gli operatori APR hanno potuto maturare, grazie a politiche industriali e strutture normative adeguate, le esperienze necessarie a costruire profili aziendali competitivi in campo internazionale. Cioè utili per lavorare da noi.
È quindi un serpente che si morde la coda, una retroazione negativa che porta inevitabilmente alla marginalizzazione delle aziende italiane? Esiste una via d’uscita?
Che le nostre imprese siano marginalizzate in patria è un fatto incontestabile, ma la responsabilità è generale e coinvolge tutti.
È certamente un dato che in Italia non ci siano state politiche finalizzate allo sviluppo del comparto APR. Fino a pochi giorni fa, nessuna grande azienda ha affidato una commessa importante ad un operatore nazionale, né sono stati messi in campo incentivi che rendessero conveniente farlo.
“La Politica si è dimenticata del comparto APR anzi,
probabilmente non lo ha mai preso seriamente in considerazione”
Per le imprese del settore APR, a tre anni dalla prima entrata in vigore della regolamentazione tecnica, ancora non esiste:
- un quadro normativo stabile e definito (sono ben due le proposte di legge presentate alla Camera),
- un regime fiscale adeguato e l'inclusione nell'Industria 4.0,
- un codice di attività,
- una legislazione del lavoro specifica che consenta di inquadrare senza possibilità di controversie le figure professionali coinvolte.
Imprese e Associazioni
In questo quadro, una parte di responsabilità è da imputarsi anche alle aziende che lavorano con gli APR e che in Italia sono oltre 2000. Siamo piccoli e incapaci di agire alla scala giusta. Soprattutto non riusciamo a darci obiettivi comuni. Siamo, come si dice spesso abusando, incapaci di fare sistema. Si avverte la mancanza dell’impulso di quelle aziende che, tra le 2000, sono le più importanti e strutturate.
L’esempio dell’associazionismo è illuminante. In Italia esistono almeno 4 associazioni di settore. Di queste solo una parte ha numeri tali da ambire a rappresentare qualcuno e, in ogni caso, tutte le associazioni messe assieme coprono meno del 10% del bacino di riferimento.
Sembra strano che questo avvenga in un paese che ha vissuto la storia sin qui raccontata. Ancora più strano è il confronto tra i numeri delle associazioni e quelli dei social (con gruppi di discussione cui partecipano alcune migliaia di utenti) o il giudizio sulle motivazioni di chi lavora nelle associazioni. In questo caso si oscilla tra l’estremo altruismo (leggasi ingenuità) e la losca difesa degli interessi dei poteri forti nazionali (notoriamente attentissimi al nostro lavoro e ai nostri fatturati).
Nessuno, nemmeno quanti firmano periodicamente illuminanti articoli o le intelligenze che sempre sanno cosa è giusto fare, racconta un’associazione per quello che realmente è: il luogo dove le persone lavorano assieme per difendere i propri interessi. Non un luogo mera di delega o difesa di interessi particolari, ma uno strumento da usare. Partecipando. Ora, prima che sia davvero troppo tardi. Altrimenti, liberi tutti.